sabato 24 agosto 2013

Sforzarsi di giungere al Cielo

Commento al Vangelo della XXI Domenica TO 2013 C (Lc 13,22-30)

Sforzarsi di giungere al Cielo
Mentre Gesù s’incamminava verso Gerusalemme, un uomo gli domandò se erano pochi quelli che si salvavano. Perché gli fece questa domanda? Forse perché, avvicinandosi a Gerusalemme, considerò i peccati dell’ingrata città, o considerò i ruderi delle rovine causate dalle antiche guerre; forse anche perché avvicinandosi al centro, si constatava di più nel popolo il rilassamento e la corruzione.
        Gesù Cristo non rispose direttamente alla questione proposta, perché essa non interessava gli uomini ma Dio. Che importa, infatti, a noi, sapere se sono pochi o molti quelli che si salvano? Ciò che è necessario, per noi, è salvarci e, poiché non c’è un destino di perdizione per alcuni o di salvezza per altri, salvarci dipende dal nostro sforzo nel fare il bene e dal nostro filiale appello alla divina misericordia.
        Più che sapere il numero degli eletti, bisogna sforzarsi di appartenervi, senza presumere di poter avere una posizione di privilegio nel Paradiso solo perché la si è avuta sulla terra, facendo parte del popolo eletto. È questo il senso fondamentale della risposta di Gesù. Egli esortò ad entrare in Cielo per la porta stretta, cioè per la via delle rinunce alle passioni disordinate e della fedeltà alla divina Legge.
        Il mondo crede stretta e opprimente questa via, e Gesù la chiama stretta in questo senso, ma, in realtà, la vera porta stretta e opprimente è quella del male, perché stringe l’anima nei lacci della più terribile schiavitù. La porta del Cielo appare stretta, ma in realtà è immensamente larga e bella; basta introdurvisi per intenderlo.
        Porta stretta può chiamarsi anche l’ultimo epilogo della vita, quando si va a Dio con quello che si è operato, ed essendo finito il tempo della prova, non si può mutare più la propria condizione.
        La giustizia divina allora è come una stretta, una valutazione precisa, evidente e perciò inappellabile della vita. Molti, in quel momento, vorrebbero entrare, cioè vorrebbero mutare la loro condizione, ma non lo potranno perché sarà chiusa la porta, sarà finita la vita del tempo, e non si potrà presumere di ricominciarla. Il pensare, come fanno tanti stolti, che dopo la morte si possa riprendere, in altro modo e in una nuova esistenza terrena, il cammino sulla vita, è una fantasia pericolosa; quando si è giunti si è giunti, e quando si è chiusa la porta della vita non c’è altra alternativa: o si rimane dentro col Padre di famiglia a godere, o si rimane fuori, nell’eterna perdizione, a soffrire.
        Rivolgendosi direttamente al popolo ebreo, Gesù fa notare che la sua posizione di privilegio tra i popoli della terra non costituiva un titolo per il conseguimento dell’eterna gloria. Se non avranno operato il bene, si troveranno così lontani da Dio nell’eternità, com’è lontano dal padrone di casa uno che gli è completamente sconosciuto; saranno riguardati puramente e semplicemente come operatori d’iniquità, e saranno condannati alla perdizione eterna, lontani dai loro santi, e lontani anche da tutte le creature salve che verranno da ogni parte del mondo.
        Avverrà allora che gli ultimi chiamati da Dio nel suo regno saranno i primi, e che i primi, cioè tanti che fanno parte del popolo eletto, chiamato per primo da Dio, saranno gli ultimi.
        La via della salvezza è stretta, perché molti la insidiano e cercano di porvi ostacoli. C’è nel mondo una strana inimicizia contro tutto quello che è bene, un’inimicizia che viene da suggestioni diaboliche, e che a volte abbindola anche i buoni, rendendoli strumento di male involontariamente.
         È necessario tirare dritto e guardare l’ultima Meta che dobbiamo raggiungere.
Padre Dolindo Ruotolo

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